Presutti e Montagnini: “Dal Canto uno di noi!”

Filosofo praticante. In questa estate fin troppo piovosa, Pasquale Presutti, l’allenatore che lo scorso 28 maggio ha riportato lo scudetto al Petrarca dopo 24 anni, attende ancora di sapere se toccherà nuovamente a lui dirigere i bianconeri nella prossima e ormai imminente stagione.
«Ma io ho pazienza – spiega – e come ho detto fin dal giorno dopo l’aver vinto il campionato, sono a disposizione della società. Attendo mi dicano cosa vogliono che faccia, la prendo con filosofia». Doveva venire a Padova il tecnico australiano Billy Millard, che però si è accasato in Irlanda.. A questo punto non è che al Petrarca rimangano molte alternative.
«Vero. Però va aggiunto che il presidente Enrico Toffano, quando ancora sembrava che Millard dovesse venire al Petrarca, non ha mai detto che Presutti non sarebbe più stato l’allenatore. Nel progetto di ristrutturazione societaria che il presidente aveva in animo, ci sarebbe stato spazio per entrambi. Con ruoli da definire». Ormai siamo in agosto. «Penso che in un paio di giorni la questione allenatore verrà ufficializzata. Toffano è rientrato in città dopo una breve vacanza ed anche il diesse Corrado Covi è qui. Ci incontreremo». Per cui, per il momento, non le va di parlare da allenatore. «Non mi sembra corretto».
Meglio chiacchierare d’altro. Magari di calcio, visto che lei da ragazzo ha giocato nelle giovanili della Roma. Ha conosciuto Alessandro Dal Canto, l’allenatore del Padova? «Certo. Quando guidava la Primavera qualche volta ci siamo incontrati alla Guizza, al centro Memo Geremia. Sono stato contento quando è diventato l’allenatore della prima squadra, perché mi ha sempre fatto una buona impressione. Ha subito ottenuto risultati importanti».
Tanto che ha portato il Padova dalla zona play out agli spareggi per la serie A. «Ed è un peccato non sia stato promosso. Sarebbe stato un bene non solo per il Padova, ma per tutto lo sport cittadino. Sono dell’idea che più risultati positivi si ottengono, meglio è per tutti. È illogico essere egoisti». Lei che allena da molti anni, sa che anche per Del Canto arriveranno i momenti difficili. Che suggerimenti si sente di dargli? «Non voglio mai mettere il naso in casa d’altri. Posso dire che l’anno scorso, dopo che avevamo perso il derby di campionato con il Rovigo e tutti ci davano per spacciati, ho lavorato molto per ricompattare lo spogliatoio, ridare fiducia ad un buon gruppo che aveva il morale sotto ai tacchi, convincendo i giocatori che potevamo ancora vincere lo scudetto. Cosa che poi è accaduta. Tutte le squadre, per quanto forti, prima o poi hanno dei periodi negativi, ed è in quei frangenti che si vede il carattere di un allenatore, di un gruppo e di una società. La cosa fondamentale però per un tecnico è un’altra».
Quale? «La più ovvia: avere giocatori di valore e di temperamento. Mi sembra che il Padova e anche il Petrarca, stiano agendo bene sul mercato».
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Come si vince un campionato di serie A di pallavolo? Cosa bisogna fare per rimettersi in gioco ai play-off dopo aver dominato per mesi il torneo e vederselo sfuggire proprio all’ultimo? Paolo Montagnani ha ancora negli occhi e nel cuore quella sera dell’11 maggio, quando a S.Croce sull’Arno, i bianconeri conquistarono la promozione in A/1.
«Non mi sento di dare nessuna lezione particolare – dice il tecnico livornese, da gennaio 2010 sulla panchina di Padova -, tanto meno a chi non ho il piacere di conoscere, come Alessandro Dal Canto , che so essere ottimo tecnico».
Però quest’anno siete stati esemplari, sotto molti punti di vista.
«Abbiamo costruito il nostro lavoro sulla verità, sulla condivisione e sulla teoria delle finestre rotte».
Ci spiega?
«Ho sempre lavorato con grande trasparenza con i ragazzi. Sempre la verità su tutto. Scelte tecniche, programmi, ambizioni. Tutto. Così non ci sbaglia mai».
E la condivisione?
«Ho sempre invitato tutti a dire la loro. Su molti punti. Mai, però sull’organizzazione del lavoro. Lì, rispondo io. Ma se un giocatore mi fa presente un aspetto tecnico o tattico io lo ascolto, verifico e poi gli rispondo. Ci possono essere osservazioni che fanno crescere. Durante i time-out parlo per 30 secondi. Poi lascio spazio ai ragazzi. Se vogliono.» Democrazia assoluta, allora.
«Non proprio. Alla fine decido sempre e comunque io. Deve essere così. Però mi piace ascoltare e rispondere con cognizione di causa. Poi, se esce qualcosa di buono, è lì, a disposizione di tutti. Diventa patrimonio della squadra.»
Ha avuto dei ritorni, da questo comportamento?
«Il ritorno lo trovi nel modo in cui il giocatore si pone rispetto a quella situazione e all’atteggiamento che mette in campo».
Ci perdoni, ma cos’è la teoria delle “finestre rotte”?
«Quella in cui non vengono tollerate le piccole trasgressioni. Se in un palazzo un teppista rompe una finestra e nessuno la aggiusta, è probabile che a qualcun altro venga la stessa tentazione, dando così inizio a una spirale negativa. Ecco perché siamo molto attenti all’educazione, ai particolari, a volte quasi maniacali. Ordine, pulizia, puntualità, chiarezza, a tutti i livelli. In questo modo si evitano le finestre rotte e tutto quello che può seguire. Io credo che anche questo aiuti a lavorare meglio e, nello sport, a vincere».
E Paolo Montagnani è uno che lavora e tanto. Già oggi la prima squadra ha cominciato ad allenarsi con rigore e serietà.



Fonte | Il Gazzettino