Sannino: “La semifinale playoff? La sorte ci ha tolto quello che ci aveva dato…”

Pensare che domani si tornerà a scrivere di Varese-Padova, che si vivrà un altro atto di quella sfida, che il ricordo di quella giornata pungerà più del solito, non fa che aumentare il desiderio di parlarne ancora un po’. Parlarne chiacchierando con le immagini, parlarne chiacchierando con un uomo.

Prima immagine: la partita è finita e l’applauso dei tifosi biancorossi che piangono copre ancora le urla di gioia dei padovani.

In quel momento – racconta Beppe Sannino – ho provato una delle emozioni più forti della mia vita. C’era la delusione di una sconfitta, la rabbia. Ma c’era anche un orgoglio smisurato e il ricordo di quella che resterà una delle più belle partite mai giocate da una mia squadra. Ho alzato la testa, idealmente ho guardato negli occhi ogni singolo tifoso: e nemmeno un robot, al mio posto, sarebbe riuscito a non piangere.

A un certo punto, dopo il fischio finale, si è messo a piovere: esattamente come un anno prima dopo la vittoria con la Cremonese.

In quella pioggia c’era l’inizio e la fine di una storia. Un anno prima avevamo goduto e fatto festa strappando la promozione con una rete all’ultimo minuto. Un anno dopo, una rete negli ultimi minuti ci ha tolto quello che meritavamo. La sorte ci ha tolto quello che ci aveva dato.

Fotografia. Al gol di De Luca, sul 3 a 2, Sannino lascia la sua panchina e salta come un cavallo imbizzarrito, pazzo di gioia.

In quel momento mi era parso tutto perfetto. Mi sono sentito attore nel film di un grandissimo regista, testimone di una storia meravigliosa. Un ragazzino nato a Varese e cresciuto a cento metri dallo stadio che segna la rete della vittoria in una semifinale.

Poco dopo, El Shaarawy segna il 3-3. E lo stadio, per un attimo, si ammutolisce.

Un anno prima il boato di Masnago dopo il rigore di Buzzegoli si era sentito anche fuori dalla Lombardia. Un anno dopo, lo stesso è successo al rumore della delusione del Franco Ossola nel momento del pareggio.

Immagine: stadio di Padova dopo la sconfitta all’andata. Sannino che esce dallo stadio dicendo a tutti quanti: si torna a Varese.

Era un grido di guerra, un voler ricordare a tutti che la partita non era ancora finita, che saremmo tornati a casa nostra. Era un modo per dire che noi non avevamo paura di niente e nessuno, e che a Masnago ce la saremmo giocata a modo nostro. Ed è andata proprio così: al Franco Ossola si è visto un Varese coraggioso e folle, capace di mettere sotto gli avversari giocando un calcio sublime. Oggi ho solo un mezzo rimpianto: tornando indietro mi giocherei in quel modo, con quella follia, anche la gara di Padova.

Torniamo ancora a Varese: il suo giro di campo, prima della partita.

Pelle d’oca anche adesso che me ne fate parlare, vorrei che qualcuno trovasse un filmato di quei quattro minuti e me lo mandasse. Perché dentro quel giro di campo c’era tutto: tutto. La consapevolezza di potercela fare, di poter cambiare il mondo ancora una volta, la forza di una città intera che idealmente era con me, sul prato dello stadio. In quei quattro minuti ho sentito la forza della Varese sportiva e dei grandi del passato: gli eroi degli anni gloriosi, ma anche quelli dell’epopea della Ignis nel basket.

Immagine: Sannino che saluta e va a Siena.

Oggi lo confesso: anche se avessi conquistato la serie A con il Varese, me ne sarei andato. Perché non volevo aggiungere o togliere nulla a quello che era stato fino a quel momento, perché la mia Varese resterà quella che ho lasciato quel giorno e che ritroverò, quando tornerò per non andarmene più.

L’ultima fotografia è ancora da scattare: Varese-Padova, domani.

Questo Varese, tecnicamente, è più forte del mio. Maran è un grande amico e farà benissimo, ma nelle due vittorie che ha centrato c’è tanto merito di Benny Carbone.


Fonte| La Provincia di Varese