Sergio Buso era del 1950. Fece le giovanili nel Padova e esordì nel 1968. 70 partite nel Padova (fino al 1972), poi Bologna, Cagliari, Novara, Taranto (dove trova moglie), Pisa, Mantova e Lucchese dove comincia anche la carriera di allenatore. Allena Bologna, Taranto, Venezia, Napoli, Fiorentina , fino a fare il vice di Donadoni in Nazionale.
PADOVA «Ero a pranzo, quando mi è arrivata la notizia non ci volevo credere. Un uomo esemplare, dentro e fuori dal campo. È una perdita che mi ha colpito molto profondamente». Questa è la prima reazione di Humberto Rosa alla notizia della scomparsa prematura di Sergio Buso, ex portiere e poi allenatore, morto il 24 dicembre di leucemia. Nato a Padova nel 1950, cresciuto – fisicamente e calcisticamente – all’ombra del Santo, Buso esordisce nel 1968, proprio sotto la guida di Humberto Rosa, con quella maglia biancoscudata che vestirà per settanta volte in quattro stagioni consecutive. «Ricordo quando feci esordire Buso, fu in occasione di una partita a Catanzaro – racconta Rosa – Il portiere titolare aveva l’influenza, e durante il viaggio in vagone letto speravamo potesse recuperare, ma così non fu. Quando arrivai a Catanzaro (uscendo illeso da una tragedia aerea costata la vita a quattro altri passeggeri, ndr) mi dissero che il portiere non avrebbe recuperato, fui costretto a lanciare Buso dal primo minuto. Fui costretto, lo ripeto, ma dimostrò subito di meritarsi i complimenti: vincemmo 1-0, e anche grazie alle sue parate tornammo a casa felici».
Poi la cessione al Bologna, insieme ad un altro centrocampista biancoscudato, Roberto Filippi: «I ricordi legati a Buso sono piacevoli – racconta Filippi – Facemmo insieme il salto dalla serie C alla serie A, e fu molto importante il mio rapporto con lui. Era un ragazzo intelligente e meticoloso, nel suo lavoro metteva tutto l’interesse che dimostrava per qualsiasi cosa gli stesse a cuore».
Una cessione, quella al Bologna, che Humberto Rosa non ha ancora digerito: «Lo mandarono via, perché in quel periodo l’importante era fare cassa. Era un professionista esemplare: trovarne di gente come lui, nel calcio di oggi. Non aveva bisogno di andare in ritiro, non serviva nemmeno che gli dessi grandi raccomandazioni prima di scendere in campo: sapeva sempre cosa fare, era equilibrato e preciso. Una mosca bianca in un calcio che, oggi più che mai, avrebbe di che imparare da uomini così».
Con la maglia dei felsinei Buso vince la Coppa Italia, trasferendosi poi nel ’75 a Cagliari. Chiude la carriera agonistica nel 1987, intraprendendo un altrettanto felice percorso da allenatore tra Bologna, Taranto, Napoli e Fiorentina. Nel 2006 viene chiamato da Donadoni quale secondo sulla panchina della Nazionale Italiana, e successivamente su quella del Napoli. Una carriera ricca di successi e di traguardi. Il segreto? Impeccabile, in campo e fuori. «In tutta la mia carriera – prosegue Rosa – non ho mai incontrato un giocatore serio come lui. L’unico difetto che aveva era forse il suo eccessivo chiudersi in se stesso: non parlava molto, era introverso. Ma quando diceva qualcosa, lasciava il segno».
Un traino per tutta la squadra, di quelli che possono creare il gruppo: «Sempre a letto presto la sera, sempre il primo ad arrivare agli allenamenti. Sergio Buso era uno dei migliori prodotti del nostro vivaio: merito a Tanzini di averlo scoperto, onore mio averlo fatto esordire»
Treccani del calcio lo chiamavano: sapeva qualsiasi cosa, riferita a qualsiasi argomento. Il calcio italiano ha perso un maestro di tattica ma soprattutto di umanità. Uno di quei personaggi che nobilitano lo sport. Spesso vale molto più la tacita disponibilità di un uomo comune, che l’antipatica esuberanza del fenomeno di turno. Il calcio perde un elemento che i meno giovani non hanno avuto il piacere di scoprire a fondo. La leucemia se l’è portato via a 61 anni. Il calcio Padova gli ha dedicato ieri la homepage del sito internet e lo ha voluto ricordare in una nota diffusa ai media. Una gran folla, ieri pomeriggio a Taranto, ha accompagnato Sergio Buso nel suo ultimo viaggio. Riposerà lì, nella città natia della moglie. Come si addice ad un vero gentiluomo.
Fonte | Francesco Cocchiglia per Il Mattino di Padova
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